Intervista a Cosimo Schinaia di Doriano Fasoli
Sabbadini A., Schinaia C. Interno Esterno Sguardi psicoanalitici su architettura e urbanistica. Sito SPI, 29 Novembre 2016. https://www.spiweb.it/libri/interno-esterno-sguardi-psicoanalitici-su-architettura-e-urbanistica/
"Sguardi psicoanalitici su architettura e urbanistica", in cui la stretta interazione tra l’uomo e il suo ambiente di vita viene declinata in tutti i suoi aspetti, fino a creare una visione del mondo - che ci circonda e ci permea - ricca di spunti e connessioni, utili a delineare un linguaggio condiviso tra idee ed esperienza di psicoanalisti ed architetti.
Si tratta di un viaggio, di un percorso a tappe, disegnato gettando ponti tra scelte di vita e soluzioni abitative, tra sogni di affermazione e contingenze sociali, tra cultura originaria e scultura del sé. Dalla condizione di migrante a quella di ricoverato, l’excursus di Schinaia ci conduce ad una definizione degli spazi pensata con rispetto delle esigenze anche interiori dei fruitori. Così come nell’educazione e nella politica, l’approccio multidisciplinare in tema di salute è ineludibile: se la malattia intacca il benessere della persona (fisico e psichico), i luoghi di cura possono acuire il senso di perdita della sua identità. Il rituale è suggestivamente ansiogeno, con l’abbandono della dimora e la spoliazione dai propri abiti, le facce nuove, gli arredi tutti uguali, i muri spogli.
Ad accentuare l’isolamento e la spersonalizzazione concorre anche la confusione sensoriale, con odori spiccati e colori sbiaditi, rumori sconosciuti e spazi ultra-definiti: i luoghi dei malati e quelli dei sani (operatori), dove i malati non devono entrare.
Dopo il XVII secolo, in cui le strutture sanitarie privilegiavano l’aspetto caritativo dei ricoveri e l’esaltazione dei benefattori, la concezione illuministica della cura ha confinato la persona sofferente nell’angusto spazio dedicato alle terapie; man mano che la tecnologia si è evoluta, queste caratteristiche si sono accentuate, tranne che nei manicomi e nelle case di riposo: il confinamento e la sorveglianza qui hanno preso il sopravvento su tutto il resto, con l’effetto di un vero esilio dalla società, quanto un carcere a vita. Le narrazioni e le testimonianze man mano hanno rivelato quanto l’architettura abbia inciso negativamente sulle menti – e perfino sui corpi – dei ricoverati: l’omologazione del trattamento e la deprivazione relazionale erano favorite dalla struttura ordinata, igienica e rigida, che si opponeva ai comportamenti “devianti dalla norma”.
Smantellare le barriere architettoniche mentali non è meno difficoltoso dell’abbattimento di quelle fisiche: incontrarsi nella progettazione significa approfondire di pari passo la ricerca dei significati e dei simboli del futuro abitante e quella dei materiali e degli edifici da costruire. Si tratta di una tessera importante nel mosaico delle percezioni dei professionisti che operano nelle varie branche coinvolte, dagli urbanisti, agli architetti, ai medici, agli psicoanalisti. Per quanto riguarda questi ultimi, un capitolo del libro di Schinaia è dedicato alla stanza dell’analisi, specifico luogo di cura, simbolo per eccellenza della relazione tra curante e curato con tutte le implicazioni legate al fatto che la cura consiste essa stessa nella relazione (transfert). Risalta qui assai bene l’importanza determinante di uno spazio pensato per indirizzare decisamente il paziente verso la centralità del suo mondo interno e al contempo verso il rispetto del “contratto”, cioè delle regole che governano la relazione di questa coppia.La cura della sofferenza fisica e mentale da parte dei medici, degli psichiatri e degli psicoanalisti e la ricerca sull’ambiente da parte di architetti e urbanisti, possono trovare buoni livelli di integrazione all’interno di progetti di collaborazione, convergendo in una visione comune di quella dimensione abitativa, in cui si situa il complesso e articolato intreccio di bisogni biologici e funzioni simboliche che dà origine a una determinata disposizione, partizione e utilizzazione degli spazi.
L’attenzione a un rapporto non disturbante, anzi possibilmente armonico con le strutture abitative quotidiane, al modo in cui esse vengono prima progettate e costruite e dislocate nelle città, e poi percepite, sentite e, talvolta (si spera) godute - siano esse le proprie abitazioni, i quartieri, i luoghi di incontro come teatri, cinema, caffè, ristoranti, sale per concerti, stadi per manifestazioni sportive, gli edifici pubblici e, specificamente, le scuole, le carceri, i luoghi di cura del soma e della psiche, ospedali e ambulatori, ma anche le stanze d’analisi - misura il grado di civiltà di una società, la qualità delle sue istituzioni, la capacità di tenere in equilibrio bisogni individuali e necessità comunitarie, privato e pubblico, e rappresenta una modalità positiva di intendere l’esistenza, di condividere, di costruire quel bene comune di cui parla Papa Francesco, tendendo eticamente alla tolleranza, alla coesione e alla solidarietà. (Marina E. Botto)
Prefazioni degli architetti Esther Sperber di New York ed Enrico Pinna di Genova e postfazione di Stephen Sonnenberg, psicoanalista in Austin (Texas)